WHO CARES? La guerra, la cura e la Datameditation in Canada

Oriana Persico
3 min readMar 11, 2022

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Who Cares?

Ovvero: <<A chi interessa? Chi se ne prende cura? >>

È il titolo che due amiche, colleghe e docenti — Elena Basile e Roberta Buiani — hanno dato ad una serie di seminari e talk realizzati con molteplici istituzioni canadesi, fra cui l’Università di York, ArtSci Salon e l’Università di Toronto (che ha ospitato la nostra sessione).

Ecco che cosa avevano (e hanno) in mente le due docenti:

“Who Cares?” is a Speaker Series dedicated to fostering transdisciplinary conversations between doctors, writers, artists, and researchers on contemporary biopolitics of care and the urgent need to move towards more respectful, creative, and inclusive social practices of care in the wake of the systemic cracks made obvious by the pandemic.

Non volevamo limitarci e parlare, ma proporre una pratica che coinvolgesse anche gli studenti. Qualcosa che ci unisse pur essendo separati: noi qui, in Europa, loro là, nel lontanissimo Canada.

E ce l’avevamo questa pratica, nata proprio dal pozzo estrattivo in cui siamo sprofondati con la pandemia: la nostra Datameditation.

Abbiamo riproposto quella sull’ambiente fatta insieme al MAXXI qualche mese fa.

Ce ne sono successe di tutti i colori, incluso un cyber-attacco con tutta probabilità collegato alla situazione geopolitica.

Eccoci qui. Tempi di iperconnessione e globalizzazione. Di tecnologie e reti ubique. Di algoritmi, cavi, dati e intelligenze artificiali. In questi nostri tempi, la guerra arriva in classe, esplode nel bel mezzo di un workshop e blocca la nostra possibilità di autorappresentarci, connetterci, comunicare.

Siamo tutti connessi. La guerra in Ucraina non è “in Ucraina”: viaggia sulle reti e deflagra in un esperimento scolastico, bloccando una meditazione.

Non deve scoppiare una centrale nucleare per far sì che questa guerra (ogni guerra) sia la nostra.

Non dobbiamo essere particolarmente pacifisti, fricchettoni o poeti per pronunciare frasi del genere.

Ormai è il nostro mondo che è fatto così. Dobbiamo solo diventare sensibili, sentire questi fenomeni sulle nostre pelli. Soffrire e provare piacere, gioia dolore come quando tocchiamo il fuoco.

Prima o poi agiremo di conseguenza.

PS: appunti di ricerca sul Nuovo Abitare:

Questa Datameditation — che è stata così problematica, al punto che i nostri fellow humans e datameditanti canadesi non riuscivano a entrare nel rituale — è forse l’esperienza da cui ho finora imparato di più per le prossime meditazioni. Per motivi molteplici.

Primo fra tutti: “Stay with the trouble” (cit.: Donna Haraway), che in questo caso significa/ha significato: incontro+scontro con il contesto geopolitico (abbiamo subito gli effetti della guerra in modo diretto); interfacciarsi con fusorari impossibili, con la complessità e anche la difficoltà di avere a che fare e gestire una “presenza ubiqua” (che è una contraddizione in termini assolutamente quotidiana e integrata nelle vite di milioni di persone, almeno dalla diffusione massiva dalla email in poi: ora siamo miliardi).

Secondo, una consapevolezza di fondo che sempre mi sconvolge: quando riposizioniamo i dati nella società, che è ciò che facciamo in modo sistematico da La Cura e che il Nuovo Abitare assume come principio fondamentale, siamo costretti a muoverci sulla linea del conflitto e della possibilità. La biopolitica dei dati non è (solo) un bel titolo per chi fa ricerca: è lo spazio delle nostre vite, dove i corpi si esprimono, cambiano e ci fanno sentire. È uno degli spazi elettivi per esercitare la nostra immaginazione sociale e sperimentare forme nuove (e dignitose) di stare nel mondo.

Chi è interessato può guardare una bella ora di seminario con gli studenti e un gruppo internazionale di ricercatori:

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Written by Oriana Persico

cyber ecologist, cofounder at HER: She Loves Data + [ AOS ] Art is Open Source

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