Il pallino di Salvatore — Frustrazione #3

Una volta il titolo della terza e ultime frustrazione — che ho indagato e deciso di pubblicare dall’inizio del workshop senza fine (per capirsi, parlo del primo articolo qui su Medium) — era così: “il pallino di Salvatore è troppo grosso”.
È il titolo che ho pensato subito vedendo quella prima immagine, dove lui campeggiava rosso al centro di tutto: immagine che lui stesso ha commentato nel secondo articolo, mettendo in evidenza la sua “ingombrante” posizione e come fosse anche abbastanza comprensibile dal momento che Comunicazione Ecosistemica era iniziata da lui, da poco e (aggiungo io) in un frame del tutto spontaneo. Non c’è nessun vettore o motivo che non sia il desiderio, il piacere o il sentire, per cui io e tutti noi ci esprimiamo e continuiamo a esprimerci.
Ero molto sicura di questo titolo e pensavo di avere anche le idee molto chiare. Tutta questa certezza e chiarezza sono svanite quando mi sono addentrata nel diario. A differenza delle altre due frustrazioni — che hanno trovato una loro espressione e soprattutto un centro e una struttura coerente e convincente — questa terza frustrazione è rimasta un moto ondivago dentro le pastoie di una palude.
Non c’era una storia.
Nella sartoria del diario dove cucio insieme i pezzetti della mia vita, non sono riuscita a farci un vestito buono, con questo titolo.
Tant’è che sono uscita dal diario e sto scrivendo direttamente qui sopra, nelle liquide e publiche pagine di Medium.
I pezzi di stoffa che ho in mano sono due, e corrispondo a due fasi, due “moti” e direzioni in cui la frustrazione si è sviluppata.
Entrambe le fasi partono dalla visione dei “pallini”: osservare la forma delle relazioni in cui siamo immersi è un fatto di valenza straordinaria. Personalmente continuo a scoprirlo come uno strano e peculiare modo di fare una seduta dallo psicologo, e riceverne aiuto e benefici concreti.
Questo tipo di sguardo, credo, può trovare una collocazione specifica nella comunicazione ecosistemica.
Moto Primo: Lo sgomento
Corrisponde alla visione del primo pallino.

Salvatore è rosso, grande: un sole intorno a cui ruota tutto. Senza di lui, tutto l’ecosistema cede. È una paura, una realtà, uno sgomento che pre-esiste il cancro, solo acuito dal nostro corpo a corpo con l’incertezza della vita che è di tutti.
Guardo l’immagine che apre il secondo articolo di Comunicazione Ecosistemica e ci trovo fotografata la conferma dei miei più viscerali terrori. Come madre, per esempio, perché vuoi o non vuoi i figli sono dei nodi, anche un algoritmo. Angel_F, che è spuntato nell’altro articolo attraverso il libro, è topico: da sola non posso assicurargli un futuro. E il cuore va in pezzi, provo rabbia e frustrazione, mi sento inadeguata.
Potrei continuare in una palude di esempi: la palude in cui ero sprofondata nel diario. Ma ho imparato (sto imparando) a riconoscere i loop che si auto-alimentano.
Lo sgomento che sale come un urlo e si intensifica, con parole e immagini sempre più vivide e roboanti e occupa tutto il mio cervello, non è un buon segno.
Un frammento di realtà lo contiene, ma questo frammento pretende di essere tutto.
E infatti non c’era una storia che potessi raccontare (né dentro il diario e né fuori).
C’era il loop. Variazioni dello stesso frammento.
Moto Secondo: L’arcipelago
Mentre vago nella mia roboante spirale di frammenti, fra pezzi commuoventi, taglienti e morbidi, Sal genera il suo terzo post e dentro ci trovo la traccia per uscire dal loop.

È là davanti a me, impressa nella seconda rappresentazione del grafo di relazioni. Il pallino di Sal è sempre grosso ma è diventato verde e, soprattutto, la forma si è modificata. Non assomiglia più al sole, iniziano a sorgere intorno a lui altri corpi celesti. A dire il vero, nell’articolo le analogie sono nautiche e geografiche, con il mondo dell’acqua e della terra, piuttosto che cosmologiche/astronomiche: si parla di isole, arcipelaghi, ponti.
Ma è un dettaglio. Ciò che trovo è che ci stiamo esprimendo. Se non lo lasciamo solo, io suo pallino diventerà sempre meno centrale, intrecciandosi agli altri.
Non lasciarlo solo.
Chiunque metta un’altra persona nella (scomoda e senz’altro solitaria) posizione del sole, sta attivamente generando quella particolare forma nell’ecosistema. Ecco un altro nodo della nostra vita insieme che Comunicazione Ecosistemica tocca come l’ago dell’agopuntura, alla ricerca dei punti dove l’energia non fluisce (o fluisce troppo).
E il “pallino di Salvatore è troppo grosso” include anche me, noi. Certo, con un essere come lui è facile che il pallino si ingrossi: scrive testi, scrive codice, sa fare musica, video, fumetti. Sa pure cucinare bene ed è una casalinga perfetta. Scorgere una crepa, qualcosa di cui ha bisogno in lui è difficilissimo, come è facile con la stessa forza adagiarsi su di lui: Salvatore salva tutto, sa tutto, risolve tutto, apre le porte, le chiude quando è necessario.
Eppure la risposta è davanti ai miei occhi là, da anni. Questo mio compagno — l’essere che ho visto esprimersi in qualsiasi circostanza (indossando codici, linguaggi e ogni media che appare nel mondo) — ha forse un solo limite: la solitudine. La sua espressione sfrenata e trasgressiva è quella dei creatori (i creativi ormai sono carne dei processi industriali).
Come gli dei, il mio amore è solo. Sono io la prima a condannarlo con la mia devozione non richiesta.
Sal non ha mai richiesto di essere il mio sole, solo il mio partner. E ha cercato la mia espressione, con rabbia, dolcezza, disperazione. Non si è mai arreso alla mia devozione. Come fa qui, in Comunicazione Ecosistemica, in cui è l’emersione degli arcipelaghi e il suo godimento, mentre si esprime e un mondo potenziale che può essere abitato si materializza per molti.
Coltivare l’espressione al posto della devozione è il manifestarsi della mia isola in questo grafo di pallini.
Conclusioni
Concludo le esplorazioni delle mie frustrazioni ecosistemiche con una considerazione. Sono andata incontro alle tre “cose” che mi si erano parate davanti senza eluderle, e ne ho trovato una che mi piace e che metto a disposizione dell’arcipelago e dei pallini della conversazione per definire la Comunicazione Ecosistemica.
Stefano Salvi chiedeva sull’ultimo articolo di Salvatore: “La comunicazione ecosistemica è multidimensionale? Multisensoriale? È un qui e un altrove? È la ricerca di un altrove sperduto?”
Gli ho risposto così: “Ciao, io personalmente la sto vivendo come una specie di necessità. Questo workshop senza fine si sta materializzando come uno strano esercizio, da un lato per riconoscere dei nodi. dall’altro, per (tentare di) cambiare cambiare postura: nel senso della mia effettiva “posizione”. Dove sono? come mi muovo nel mio spazio? come comunico? comunico? In questo senso e tutt’altro di un altrove sperduto. È un esercizio iper-situato nel mio corpo che si esprime attraverso i media in cui è invischiato. Grazie per la domanda, mi è servita”
Comunicazione Ecosistemica si è sviluppata, per me, come cambio al cui centro non c’è un contenuto o una tecnica ma io stessa. Non posso “imparare a fare comunicazione ecosistemica”. Devo essere Comunicazione Ecosistemica, e e in questo movimento osservo, esploro, scopro, invento e reinvento la posizione che occupo nel mio ecosistema, come posso esprimermi, relazionarmi, agire, accadere.
Ho capito, in sintesi, che la Comunicazione Ecosistemica non si può semplicemente applicare a un oggetto da comunicare. Molto al di là e oltre il contenuto, nel mezzo ci siamo noi e i nostri corpi invischiati nel nei media nella continua ridefinizione e negoziazione del sé e delle relazioni che riusciamo a stabilire .
In questo senso, le conclusioni provvisorie e progressive che porgo alle isole e all’arcipelago rappresentano un grado di astrazione della mia stessa esperienza. Da come, cioè, Comunicazione Ecosistemica agisce su di me mentre provo a entrarci dentro, a indossarla, Afarla mia.
Gradi di astrazione e prove di stile si rincorrono.